Andare alla Notte della Taranta è diventato ormai un punto fermo della permanenza in Salento. Potete andare durante una delle date del festival itinerante nei paesini della Grecìa Salentina, troverete meno gente. Ma è la Notte della Taranta di Melpignano che bisogna vedere assolutamente, almeno una sola volta nella vostra vita.

Sono stato presente durante l’edizione del 2010, cosa che faccio ormai da una decina di anni. Ho già pubblicato alcune fotografie della Notte della Taranta, adesso voglio raccontarvi un po’ la mia notte. Arrivare a Melpignano già è un piccolo grande viaggio. La maggioranza delle persone viene da Lecce (direzione nord) e non potrebbe essere diversamente visto che a sud di Melpignano ci sono solo una cinquantina di chilometri verso la fine del sud. La superstrada Lecce – Maglie è letteralmente invasa, troverete rallentamenti, code, traffico intenso. Pensate che durante la notte nel piccolo paese di Melpignano di appena 2.000 abitanti si riversano oltre 100.000 persone! Un’alternativa per raggiungere Melpignano è il treno che parte da Lecce a intervalli regolari, ovviamente stracolmo di gente anch’esso a tutte le ore (e sul quale potrei scrivere un altro articolo a parte).

Il paese comincia a riempirsi di persone in tardo pomeriggio e lo vedi riempire sempre più a vista d’occhio fino a non so che ora perchè si perde la dimensione dello spazio nel giro di poco tempo. E’ un tipico paese salentino: bianco, con viuzze strette e piazzette. Camminare dalla piazza fino allo spiazzo in cui si svolge la Notte della Taranta significa passare qualche centinaio di metri tipo suk. Venditori di ogni sorta, provenienti da ogni parte del mondo, salentini, meridionali, africani, sudamericani e gli onnipresenti jamaicani mettono in mostra sulle loro bancarelle o per terra ogni tipo di oggetto: braccialetti artigianali, magliette, pietre leccesi, dischi, tamburrelli fatti a mano, articoli africani, strumenti musicali del sud del mondo, articoli reggae, monili, orecchini, tessuti. Lo stesso vale per il cibo: prodotti tipici salentini, frise, panini, crepes, birre, vino dei locali, bevande di ogni tipo. Il tutto è molto etnico, molto world, un attimo di distrazione dal nostro essere occidentali che ben vegna. Camminare lungo questa strada significa ascoltare la musica che ogni bancarella emette, dalla pizzica al reggae, da qualche venditore che suona direttamente lui i suoi tamburrelli a musica pop leccese in dialetto leccese. Lo sfondo musicale del concertone sul grande palco non lo lasci mai. Camminare lungo questa strada significa attraversare mille colori e mille sapori tra mille genti, a tratti la folla è davvero tanta che ci si deve fermare dal camminare e attendere. Per accorgersi che qualche abitante di Melpignano non vede il concertone dal vivo all’aperto, bensì in diretta tv, spalancando le porte della sua casa, girando il televisore verso la strada e sedendosi con altre persone là fuori, all’aperto.

Le persone, appunto. E’ bellissimo notare come le persone furastiere (forestiere), come chiamiamo qui tutti coloro i quali vengono dal nord e dal centro Italia, siano felici, sorridenti, spensierate. Molte delle donne hanno con loro dei tamburrelli piccolini, tipo quelli da souvenir, e camminano muovendosi, danzando, accennando dei passi di danza pizzica, sbattendo nacchere. Gli uomini un po’ di meno. E poi il contatto fisico, in alcuni punti inevitabile, rende tutto molto umano. La gente è allegra, penso che oltre ad essere la Notte della Taranta, sia anche la Notte della Leggerezza, della Spensieratezza, del Sorriso, della Convivialità. Un senso di libertà ti avvolge: puoi camminare scalzo nella piazzetta, puoi ballare con gente che non conosci e sorrider loro danzando perchè la pizzica porta a questo. E pensare che un tempo non era così, la pizzica era molto meno di tutto ciò.

Alla fine di questo percorso sbuchi nel grande spiazzo del concertone, la musica del grande palco diventa più intensa, la si percepisce sempre più in volume, a ogni passo. Prendi un po’ d’aria e ti butti nella mischia, semplicemente enorme, un unico corpo fatto da decine di migliaia di persone che danzano, osservano, si cotulane, gridano, parlano, agitano per aria i tamburrelli presenti in quantità tra le mani delle persone ovunque giri lo sguardo, alzano per aria bottiglie e boccioni di vino. E’ nella folla che capisci che la taranta può ancora morderti, nonostante la modernità. E ti morde, inevitabilmente. Ineluttabilmente. Il ritmo ossessivo dei tamburrelli è un rituale ancestrale nel terzo millennio, il loro suono ti penetra dentro, è come se il suono stesso stia usando te come tamburrello, ti fa battere. La gente ti passa continuamente affianco, gruppi di ragazzi e ragazze con accenti da ogni parte d’Italia, qualche lingua straniera, persone bionde abbronzate dal sole del Salento, persone brune. Persone anziane che danzano e chissà quante tarante hanno visto nella loro vita. Grandi e piccini, tutti insieme. Di fronte a te vedi il palco con l’Orchestra e al suo fianco destro il Convento degli Agostiniani, barocco leccese, ancora. Sai che la musica finirà tardi, alle tre, alle quattro di notte e che poi continuerà ancora spontanea lungo tutte le vie del paese per chissà quanto tempo ancora.

Fa caldo, non ho mai visto una Notte della Taranta fresca. Cominci a sentirlo, il caldo. O forse è il calore di una notte di fine agosto che più che qualcosa di fisico mi sa tanto di calore umano.